La grande onda
Autore
Katsushika Hokusai (1760-1849)
Datazione
Periodo Edo, 1831 circa (secondo anno di Tenpo)
Collocazione
Museo Nazionale di Tokyo
Tecnica e dimensioni
Nishiki-e, stampa xilografica, categoria: ōban nishiki-e (formato grande / policromia), cm. 24,6 x 36,6
Genere iconografico
Ukiyo-e
La Grande Onda è una celebre veduta del monte Fuji visto dal largo della costa di Kanagawa e fa parte della serie delle trentasei vedute del monte Fuji realizzate dall’artista Katsushika Hokusai tra il 1831 e il 1833. In questo esemplare si coglie lo spirito e il pensiero giapponese del tardo Edo, ovvero quel clima di rilettura culturale di antichi principi filosofici e mistici che portò l’Ottocento nipponico a reinterpretare i fondamenti filosofici buddhisti dell’Ukiyo-e. Il genere Ukiyo-e fece la sua comparsa nella stampa giapponese già nel tardo Seicento ma il vocabolo ha origini molto antiche: inizialmente implicava una significazione buddhista negativa, secondo la quale la vita (yo) sulla terra sarebbe tediosa (uki) e soprattutto transitoria, impermanente in tutti i suoi aspetti fisici. Questa visione pessimistica si addolcì progressivamente in un’epoca più permissiva, estetizzante e per alcuni aspetti edonistica, quale fu l’epoca Edo (1615-1867). Il vocabolo uki venne indicato da un ideogramma cinese differente, a rappresentare il significato di “fluttuante”. Con questa nuova significazione Ukiyo divenne un’esortazione a vivere, quindi ad assaporare il più possibile l’esistenza, nella sua transitorietà, immergendosi gioiosamente nel suo flusso per accettarne serenamente l’instabilità. La celebrazione della ricerca del piacere, mai privata di un’etica in cui forma e sostanza tendono a corrispondere, è però un’inevitabile presa di coscienza della finitezza umana e malgrado non si veni di malinconia, ha in sé la delicata poesia dell’inizio e fine delle cose. Le trentasei vedute del monte Fuji testimoniano quanto il vulcano-montagna sacra, soggetto “stabile” così presente nella cultura giapponese, sia metafora di come ogni certezza umana possa esistere solo in un contesto più ampio, indomabile e inafferrabile, qual è quello offerto dalla natura, nella sua totalità di manifestazioni e metamorfosi.
Note tecniche e biografiche sulla carriera dell’artista
Hokusai nasce il 23 settembre del 1760 a Edo, antico nome della città di Tokyo, in un quartiere popolare sul golfo. Noto al pubblico come Katsushika Hokusai, nell’arco della sua lunga vita cambia nome circa trenta volte.
Nel 1778 entra nella scuola di Katsukawa Shunshō (uno dei primi eshi, fondatore della scuola Katsukawa) e nel 1779 come Katsukawa Shunrō, debutta con disegni di attori del teatro kabuki. Nei successivi quindici anni di carriera sceglie di illustrare attori, lottatori di sumō e anche romanzi popolari per adulti. Nel 1794, separatosi dalla scuola Katsukawa, cambia stile e assume il nome “Tawaraya Sōri II” a ridosso della scuola Rin-pa (Tawaraya Sōri). Si tratta di uno stile in cui vengono trattati temi classici, decorativi ed eleganti (lontani da quelli dell’Ukiyo-e).
Con il nome “Tawaraya Sōri II”, solo per 3 anni, Hokusai realizza su commissione stampe particolarmente decorate, rivolte a famiglie potenti (mercantili, samuraiche); illustrazioni per libri di kyōka (poesie satiriche) e pittura a mano. All’accrescere della sua fama corrisponde anche l’acquisizione di nuovi nomi quali Hokusai Tokimasa, Gakyōjin Hokusai – pazzo per la pittura – e di diversi generi: bijin-ga (disegni di belle donne), paesaggistica in stile occidentale (chiaroscuro e prospettiva). Nel 1810, periodo Taito: manualistica per gli allievi. Nel 1814 si ha la prima edizione di Hokusai manga (“Disegni giocosi di Hokusai”) con curiosità, ricerche, osservazioni, espressioni.
Dal 1820 al 1833, superati i sessanta anni di età, nel periodo I-itsu (“solo uno”) l’artista perviene alla perfezione della paesaggistica e ad espressioni spaziali in stile occidentale, con composizioni dinamiche e “tese” già maturate nelle precedenti opere di illustrazioni per romanzi fiume. Superati i settanta anni di età realizza le opere più celebri: Fugaku sanjyūrokkei (36 vedute del monte Fuji); Shokoku taki meguri (Visite alle cascate di diversi paesi). Hokusai inizia questa celebre produzione di vedute a 68 anni, nel 1827 (decimo anno di Bunsei); continua a pubblicare fino al 1831 (secondo anno di Tenpo) l’anno in cui ha 72 anni. Con questa serie il paesaggio è valorizzato parimenti agli altri generi più noti quali il bijin-ga (disegni di belle donne) e il yakusha (disegni di attori di kabuki). Fa parte delle trentasei vedute del Fuji La grande Onda, che è una delle più celebri insieme a Gaifū kaisei e Sanka haku’u. Questa serie è composta dai disegni del Fuji vista da Edo o dal Tokai dō. La raccolta è composta dalle trentasei vedute più altre dieci (in totale quarantasei).
Negli ultimi anni di vita con il nome Gakyōrōjin Manji (“Vecchio pazzo per la pittura”) Hokusai si ritira dalle stampe per dedicarsi alla pittura a mano: piante e animali, temi buddhisti, temi storici (classici giapponesi e cinesi) per procedere instancabilmente nelle sue ricerche. Nel 1849 muore, all’età di novanta anni.
Descrizione dell’opera e guida alla lettura
L’opera La grande Onda, di Katsushika Hokusai, uno dei più celebri ukiyo-eshi del tardo Edo (dinastia di Tokugawa 1603-1867) sia in Oriente che in Occidente è considerata un simbolo della cultura giapponese ma in essa dimorano anche tracce europee, a confermare una straordinaria integrazione culturale tra i due mondi.
Un violento e impetuoso moto ondoso caratterizza il primo piano della composizione. Fra questi flutti che nel susseguirsi creano una progressione di piani di posa circolari, quasi a stratificazione, si intravede il monte Fuji, imperturbabile. Tre imbarcazioni da pesca, di foggia orientale e lanceolata, in balia delle onde, stanno per essere travolte dalla forza del mare ma sembrano anche confondersi e “aderire” alla forma dinamica e curvilinea dei marosi. Le linee ondeggianti che nascono a destra della composizione calano verso il centro e poi risorgono a sinistra, con enorme energia, fino alla cima delle onde giganti che si ergono, muri d’acqua. Alla fine del loro sviluppo, le onde anomale si infrangono e schiumeggiano copiosamente. Rispetto a queste linee curve che disegnano una grande circolarità, il Fuji è l’unico elemento di stabilità ottica e psicologica. Nella sua immobilità il vulcano innevato sembra assistere a questo spettacolo di natura, lontano da tutto.
La composizione è studiata con prospettive dinamiche e non geometrico-centriche, tanto che il punto di vista risulta ribassato e mobile. Ne deriva un’immagine in cui si perde la definizione della linea d’orizzonte, quasi non fosse visibile. Lo spettatore appare come immerso nella scena al punto di sentirsene sovrastato. Le grandi onde convergono sul monte quieto e stabile e questa è la caratteristica più significativa dell’opera. Non va trascurato che la tecnica compositiva adottata da Hokusai è frutto degli studi svolti sulla pittura occidentale, con particolare interesse a quella olandese.
Davanti all’onda più grande ne sorge una simile per sembianze al Fuji. Per effetto di geometrie nascoste e mirate corrispondenze, uno studio afferma che questa forma è simile alla montagna vista da un altro punto prospettico, diverso da quello esistente in questo contesto. Il biancore della spuma fa da eco al candore della neve che imbianca le cime del Fujiyama. Ed è proprio grazie alla plasticità di questa onda, quindi, che possiamo scorgere una tridimensionalità insolita. Si congettura che la scena ritragga tre imbarcazioni da pesca al ritorno dal golfo di Tokyo, dopo avere trasportato e scaricato la pesca. Ciascuna ha un equipaggio composto da otto marinai; e questi, raccolti e curvi, abbassando la testa si difendono a stento dalle onde. Poi, per garantire maggiore stabilità all’imbarcazione, intrecciano i remi, sporgendo di poco sulla murata di sinistra (babordo) e di destra (tribordo) della barca, guardando in direzione di marcia, verso la prua.
Per dinamismo e sintesi dell’immagine, si propone una lettura tattile della riproduzione tridimensionale dell’opera che tenga conto della bimanualità e della sincronia di movimento tra mano destra e mano sinistra. Ponendo le mani – con le dita allineate – sul profilo dei piani che si susseguono, si noteranno tracce e sottosquadri. Questi profili sui quali le dita scorrono a tratti veloci, a tratti rallentate, orientano la percezione della tensione elastica della superficie marina, e ridisegnano il vuoto d’aria che si crea tra le onde, mentre esse salgono, progressivamente, a destra e a sinistra nella composizione. Con movimento simmetrico e speculare di apertura delle mani, si potrà cogliere come, nello spazio intermedio tra primo e terzo piano, si collochi la prima imbarcazione, di cui è visibile la prua orientata a sinistra rispetto all’osservatore, e come essa scivoli sull’onda. La barca con la poppa occultata dal mare scende da destra a sinistra e svela gli otto membri dell’equipaggio impegnati a intrecciare i remi: questi uomini simili tra loro per postura, espressione ed azione, sembrano accomunati da un unico ineluttabile destino. La seconda imbarcazione compare oltre la montagna d’acqua che rievoca la forma del monte Fuji. Anche qui è la prua e non la poppa a vedersi e l’equipaggio, accucciato sul fondo della carena, non sporge sulle murate ma si intravede parzialmente nel numero di due pescatori. La prua ora sembra aggredita dagli artigli dell’onda e per direzione solca il mare e inclina verso l’osservatore. La terza imbarcazione, visibile interamente e posizionata oltre il quarto piano, a occuparne un quinto, in lontananza, accelera nel movimento di discesa e fa tutt’uno con l’onda che la sospinge. La postura dell’equipaggio composto da otto marinai è la stessa della prima imbarcazione.
L’onda si erge gigante, in forma di Tsunami, a formare un ricciolo enorme e tridimensionale, visto in scorcio prospettico (di tre quarti) non mimetico e piuttosto codificato, assimilabile a una forma di rappresentazione solo in parte realistica, stilisticamente sintetica e concettualmente simbolica. La massa si leva dalla superficie del mare, pare muoversi da sinistra a destra e avanzare: nella vastità d’azione sposta parimenti acqua e aria, assorbe energia dal fondo marino per proiettarla amplificata verso l’alto. Nella curvatura, per effetto fisico e gravitazionale, l’onda è colta all’apice della sua potenza, nel momento di ricaduta che precede lo schianto fatale. Sembra che tra alto e basso, destra e sinistra, centro e periferia, l’incalcolabile energia disegni un ideale moto a spirale. Frammenti di spuma circondano la grande onda che nel sollevarsi svela le sue correnti interne e vorticose, evidenziate da nervature. Nello spumeggiare essa si fa artigliata e “sonora”. La percezione “plurisensoriale” dell’immagine potrebbe suggerire, in via evocativa, un’esperienza sinestesica dove è possibile ricordare il rumore del mare, l’odore della salsedine e dell’ozono, la forza fisica delle elementi e la visione integrata di queste componenti rappresentabili sia visivamente che tattilmente. Sorprende anche la compostezza con la quale, in questa grafica, Hokusai rappresenta l’immensa e impareggiabile potenza, non convulsa, della natura.
Vi è un’evidente complementarietà tra lo spazio occupato dalla forma del mare e quello occupato dal cielo. Mare e cielo si “reintegrano”, per così dire, in un moto circolare che ricorda l’antico simbolo cinese taoista dello Yin e dello Yang, qui riletti in chiave nipponica e iconico-naturalistica. Per percepire la compenetrazione dei contrari, dove vuoto e pieno sono compresenti e complementari – quindi colti nell’incessante movimento che genera reciproca trasformazione – si propone al lettore di poggiare la mano sinistra sulla sommità dell’onda gigante e la mano destra sotto la sinistra, in prossimità della curvatura, a rovescio, del cielo. In un movimento sincronico e circolare si scoprirà che mentre la mano sinistra si muove dall’alto verso il basso, con moto di espansione circolare che porta a percepire la curvatura delle onde, la mano destra può fare altrettanto, ma in modo speculare, alzandosi verso l’alto, a percepire lo spazio del cielo, specchio del mare. Nel movimento simultaneo le braccia seguono naturalmente un tracciato che potrebbe rievocare altre rappresentazioni simboliche presenti nella concezione taoista e zen dell’energia vitale. Nella cultura giapponese, memore dell’influenza cinese, e quindi nella pittura, nella calligrafia e nelle arti marziali, l’equilibrio dei contrari è rappresentato dalla circolarità del movimento e dalla relazione tra alto-basso, destra-sinistra, superficie-profondità. L’idea di equilibrio dinamico e incessante, per la cultura estremo orientale, è cifra della complementarietà tra forze che si uniscono e si separano, si attraggono e si respingono, si completano e si trasformano. In questa visione non possono trovare spazio dicotomie e sentimenti separativi, né nostalgie romantiche o aneliti tragico-sublimi, presenti invece – pur nell’irriducibile complessità e ambiguità semantica – nella pittura di paesaggio ottocentesca di matrice nord-europea. Diverse forme di dialettica risiedono in questa stampa, per incrementare la tensione nella composizione: tra la dinamicità (dō) delle onde e la staticità (sei) del Fuji; tra il blu e il bianco.
Nell’insieme della grafica, l’uso dei colori è di calcolata essenzialità, semplice e chiaro: il blu e il bianco costituiscono la base e la dominante cromatica, poi vi sono i toni dell’azzurro, quelli più caldi delle imbarcazioni e del cielo velato da una luce color sabbia e solcato all’orizzonte da una fascia scura sulla quale si staglia il monte Fuji. La stesura a campiture piane rafforza la qualità stilizzata e fortemente grafica dell’immagine, senza sottrarla ad una fisicità plastica non comune.
Nella lettura ottica e tattile La grande Onda è anche rappresentazione dell’estensione infinita del tempo e dello spazio. Al punto che la percezione cinestetica e tattile di questa celebre stampa (tradotta in bassorilievo) fa vivere il tempo della lettura come tempo interiore, di interazione tra forma e sostanza. Con questo approccio ne potrebbe derivare un’esperienza significativa, a più livelli: lentezza e velocità, visione tattile e ottica, interiore ed esteriore, sintetica e analitica, altro non sono, infatti, che ri-conoscimenti del ruolo ineludibile di sensi e intelletto, per una comprensione ad ampio respiro della coincidentia oppositorum (principio della coincidenza degli opposti) intesa anche come solve e coagula (nell’accezione semantica del dissolversi e ricomporsi).
Autore della scheda: Loretta Secchi
Curatrice del Museo tattile di pittura antica e moderna “Anteros” dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza – Bologna